Autoconclusivo
Rizzoli (2014) | 262 pagine | 14 euro
É il 1962 e la spensierata estate di Scott e dei suoi amici viene offuscata dalla minaccia della bomba atomica. Una minaccia che sembra troppo lontana, troppo assurda, ma che tutti temono. Il padre di Scott decide così di correre ai ripari e fa costruire un rifugio antiatomico per mettere al riparo la sua famiglia in caso di emergenza. Passano i mesi e purtroppo quella paura si concretizza. L'allarme viene lanciato e tutta la famiglia si fionda nel rifugio, ma non sono i soli. Tutto il quartiere si precipita a casa loro, pregando per un posto sicuro in cui stare. Ma il rifugio è troppo piccolo e le risorse troppo scarse, così dopo aver fatto passare qualche vicino, si trovano costretti a trincerarsi dentro, chiudendo la porta. Appena in tempo. I dieci superstiti passeranno nel bunker due settimane, dividendosi le poche provviste, adattandosi a condividere un'unica stanza, senza servizi igienici, senza vestiti di ricambio, senza sapere cosa troveranno là fuori appena usciranno...
Recensione
Questo libro è stato una sorpresa. L'ho preso in biblioteca un po' guidata dall'istinto, mai visto prima. Si è rivelato perfetto per il periodo, anche se non mi aspettavo proprio di leggerlo durante una pandemia e di empatizzare così tanto con i protagonisti. Siamo
tutti in quarantena, ma potrebbe andarci peggio. I protagonisti di
questo libro sono costretti a convivere per due settimane in uno
stretto bunker, dividendo per dieci persone le scarse provviste pensate
per quattro, senza possibilità di cambiarsi nè farsi una doccia e
senza sapere cosa ne sia stato delle persone rimaste fuori. Aspettare, aspettare, mentre il mondo fuori è divorato dalle radiazioni. Non vi fa
rivalutare la nostra comoda quarantena a casa? A me decisamente sì. In
fondo siamo al caldo, abbiamo cibo in abbondanza e perfino internet.
Tutto sommato, non abbiamo niente di cui lamentarci, dobbiamo solo
portare pazienza. Siamo negli anni '60, gli anni della guerra fredda, e la minaccia della bomba atomica aleggia sugli americani. Sono molte le famiglie che in quegli anni decidono di costruire un rifugio sotterraneo per essere pronte al peggio. Scatole di legumi accuratamente allineate lungo le pareti, un serbatoio con l'acqua, maschere antigas, misuratori di radiazioni, fanno tutti parte del classico kit da bunker antiatomico, quello della famiglia di Scott non fa eccezione. L'autore in una nota finale racconta che anche la sua famiglia ne aveva uno. Ma se nella realtà una simile minaccia non si è mai davvero concretizzata, lui immagina il contrario. Cosa sarebbe successo se i sovietici avessero davvero sganciato una bomba atomica sugli Stati Uniti? Il primo problema: il fuggi fuggi generale verso il bunker. Non tutti ne avevano uno, anzi chi per scrupolo lo costruiva veniva quasi preso in giro. Ma nel momento del bisogno, ecco che ci si ricorda del matto con il bunker. Il fatto è che questi rifugi sono piccoli, pensati solo per le esigenze della propria famiglia, di certo non possono ospitare un interno quartiere. Chiudere quella porta significa condannare molte persone, vicini, amici, ma a volte il senso di autoconservazione può essere più forte di qualsiasi altra cosa. Chiudere quella porta vuol dire anche salvarsi, forse. In quegli istanti concitati, molte cose si spezzano. Sentire le urla di chi è rimasto fuori è straziante, ma ancora di più lo è il silenzio che segue.
Poi la parte più difficile: la convivenza. Nel bunker sono in dieci, ma hanno scarse risorse. Un po' perché il padre di Scott non lo aveva mai davvero rifornito come si deve, pensando che quell'ipotesi fosse in fondo lontana, un po' perché comunque quelle scarse risorse erano pensate solo per quattro. Questa parte è molto cruda e realista e l'ho apprezzato. L'autore ci racconta la reclusione con dovizia di particolari, senza risparmiarci nulla. Ognuno doveva lavarsi e fare i propri bisogni di fronte agli altri, senza un minimo di privacy. Non avevano modo di cambiarsi, né di lavare i vestiti che indossavano. Il cibo era razionato e ad ognuno toccavano solo pochi bocconi al giorno. L'acqua non poteva essere sprecata. Se qualcuno stava male, poteva fare affidamento solo sul proprio sistema immunitario. Non c'erano letti per tutti. Ogni aspetto della prigionia viene messa di fronte al lettore in maniera schietta e diretta, anche quelli più rivoltanti, senza mai addolcire la pillola. Una scelta che non ti aspetti da un libro per ragazzi, ma la migliore a mio parere. La narrazione segue due linee temporali: il presente, in cui sono rinchiusi nel bunker, e flashback del passato, in cui vediamo spaccati della vita precedente dei protagonisti. Molto interessante, soprattutto per capire meglio la paura e il timore che serpeggiavano tra gli americani a quei tempi.
Uno dei temi trattati nel libro è quello del razzismo. Janet, la baby sitter della famiglia, è una donna di colore e nonostante sia tranquilla, servizievole e molto dolce, è la prima ad essere presa di mira quando le risorse iniziano a scarseggiare. Uno dei reclusi vorrebbe cacciarla, si sente superiore e considera la sua vita più importante. Non se la prende con un debole, un vecchio, un malato, qualcuno con poche possibilità di cavarsela, né non una persona che rende la convivenza complicata, litigando o lamentandosi, ma con una donna sana, nel fiore degli anni, gentile, paziente, dalla cui bocca non è mai uscita una lamentela, ma che a suo parere merita di vivere meno di lui solo perché è nata con la pelle nera. Sono anni in cui i neri sono trattati ancora come esseri inferiori. La loro vita non è quasi considerata tale, il loro diritto di vivere non è allo stesso livello di quello dell'uomo bianco. Sono pensieri difficili da sradicare dalla testa di un adulto di strette vedute. Scalda il cuore vedere i bambini prendere le sue difese perché la considerano parte della famiglia. I loro genitori li hanno tirati su bene, insegnando loro il rispetto e l'amore ed è questo che fa la differenza. I bambini sono la speranza. Loro non sono razzisti, non odiano, non gli importa del colore della pelle, della religione, per loro conta solo l'amore, ma hanno bisogno di un buon esempio.
L'unico appunto che mi sento di fare a questo libro è che avrei voluto un finale un po' meno aperto. Il libro si interrompe alla fine della prigionia forzata, ma ci viene detto molto poco di ciò che trovano fuori. Sarebbero regrediti ad una società primitiva? Sarebbero stati aiutati da altri paesi? Cosa ne sarebbe stato dei territori colpiti? Per quanto tempo sarebbero durate le radiazioni? Insomma, un seguito ci sarebbe stato. Ero curiosissima di scoprire la vita fuori dal bunker ma tutto questo rimane avvolto nel mistero. L'autore ha voluto concentrarsi sull'esperienza stessa della reclusione, sul modo in cui l'uomo reagisce in situazioni d'emergenza e su come la vera natura umana di un individuo emerge in questi momenti. Ha voluto lanciare anche una riflessione potente nella sua nota: sono passati oltre sessant'anni, eppure l'uomo non ha mai smesso di fare la guerra. Quando impareremo dagli errori del passato? Veramente una lettura interessante. Devo proprio recuperare qualche altro suo libro!
♥♥♥♥
Bellissimo!
Bellissimo!
Non conoscevo questo titolo, ma sembra davvero molto interessante e... in linea con questo periodo.
RispondiEliminaSì è proprio perfetto per il periodo, senza farlo apposta XD
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