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domenica 29 marzo 2015

Chi Ben Comincia #16: All the Bright Places di Jennifer Niven

Ciao a tutti! Come vi ho raccontato su facebook ieri ho partecipato all'incontro con Jennifer Niven organizzato dalla De Agostini nel quel di Milano ed è stata un'esperienza davvero bella, anche se mi sarebbe piaciuto avere più tempo per fare un giretto con calma xD Milano è caotica per una come me abituata a verdi prati e contadini annoiati lol L'incontro comunque è stato divertentissimo! Jennifer Niven è stata adorabile, molto molto simpatica. Ci ha parlato del suo libro e di sè e ci ha raccontato anche delle storielle davvero divertenti! In più ho avuto il piacere di incontrare molte blogger finalmente dal vivo e sono state tutte carinissime *abbraccio di gruppo* Spero ci sia un'altra occasione simile presto! Ma di tutte queste cose vi parlerò per bene presto, vi racconterò cosa ci ha detto Jennifer e vi mosterò tante foto! Intanto però..parliamo del suo attesissimo libro che uscirà da noi tra due giorni con il titolo Raccontami di un giorno perfetto! Gustatevi l'incipit e pazientate ancora un po'. Ne vale la pena! Amerete questo libro! :)

Titolo: All the Bright Places
Autore: Jennifer Niven
Editore: Knopf
Pagine: 388
Prezzo: 17,99 $
 

Anno: 2015 

Trama: Theodore Finch è affascinato dalla morte, e pensa costantemente ad un modo per suicidarsi. Ma ogni volta qualcosa di buono, non importa quanto piccolo, lo ferma. Violet Markey vive per il futuro, contando i giorni che mancano al diploma, quando fuggirà dalla piccola città dell'Indiana e dal dolore per la recente morte della sorella. Quando Finch e Violet si incontrano in cima alla torre campanaria della scuola, non è chiaro chi salva chi. E quando fanno coppia per un progetto scolastico che ha per tema le 'meraviglie' del loro stato, sia Finch che Violet fanno delle scoperte importanti: solo con Violet Finch si sente se stesso—un ragazzo strano, divertente ma che dopotutto non è poi così sfigato. E solo con Finch Violet dimentica di contare i giorni e inizia a viverli.  Ma mentre il mondo di Violet si espande, quello di Finch inizia ad affondare. 

Uscirà il 31 marzo per De Agostini con il titolo Raccontami di un giorno perfetto 

Oggi è un buon giorno per morire?
È quello che mi chiedo la mattina, quando mi sveglio. A scuola, quando mi sforzo di tenere gli occhi aperti mentre il professor Schroeder continua con la sua lagna. A tavola, mentre faccio passare il piatto coi fagiolini. La sera, a letto, quando non riesco a prendere sonno perché il mio cervello rifiuta di spegnersi per tutto quello su cui c’è da riflettere.
Oggi è il giorno?
E se non oggi, quando?

Me lo chiedo anche in questo momento, mentre sto in piedi su un cornicione a sei piani di altezza dal suolo. Sono così in alto che praticamente sono parte del cielo. Abbasso lo sguardo sull’asfalto di sotto e il mondo vacilla. Chiudo gli occhi, godendomi la sensazione di vertigine.
Questa volta lo faccio. Tuffarmi: lasciarmi portare via dall’aria. Sarà come fluttuare in una piscina, abbandonarsi fino a non sentire più nulla.
Non ricordo come sono arrivato quassù. A dire il vero non ricordo un granché di tutto quello che è successo prima di domenica, e pressapoco niente di quest’inverno. Succede sempre così: il vuoto, il risveglio. Mi sento come Rip Van Winkle, il vecchio con la barba lunga di quel racconto. Ora mi vedi, ora non più. Dovrei averci fatto l’abitudine, ormai, ma questa volta è stato peggio del solito perché non sono rimasto incosciente semplicemente per un paio di giorni o di settimane: ho dormito tutte le vacanze, dal giorno del Ringraziamento a Capodanno. Non saprei dire cosa ci fosse di diverso questa volta, so solo che al mio risveglio mi sono sentito più a pezzi che mai. Cosciente sì, ma completamente vuoto, come se qualcuno mi avesse succhiato via tutto il sangue dal corpo. Oggi è il sesto giorno da quando mi sono risvegliato e la mia prima settimana di scuola dal 14 novembre scorso.
Apro gli occhi: l’asfalto è sempre lì, duro e persistente. Sono in cima alla torre campanaria della scuola, sopra un cornicione non più profondo di una decina di centimetri. La torre è piuttosto stretta, con un pavimento di cemento largo poco meno di un metro che gira intorno alla campana e un sottile cornicione di pietra che ho raggiunto scavalcando il parapetto. Ogni tanto ci premo contro una gamba per ricordarmi che c’è.
Ho le braccia allargate come quelle di un pastore mentre pronuncia il suo sermone, e questa grigia, grigissima cittadina è la mia congregazione. «Signore e signori» urlo «questa è la mia morte!» Forse vi sareste aspettati che dicessi “vita”, per via della storia del risveglio eccetera; ma il fatto è che penso alla morte solo quando sono sveglio.
Declamo alla maniera di un predicatore vecchio stile: muovo la testa a scatti e scandisco enfaticamente ogni parola, con il rischio di perdere l’equilibrio.
Mi tengo stretto al parapetto dietro di me, ma per fortuna nessuno sembra averlo notato. Diciamolo: è difficile fare gli spavaldi quando ci si tiene aggrappati come mezze seghe.
«Io, Theodore Finch, nel completo vuoto delle mie facoltà mentali, nomino eredi universali di tutti i miei beni terreni Charlie Donahue, Brenda Shank-Kravitz e le mie sorelle. Tutti gli altri possono andare a fare in c***». In casa nostra, mia madre ci ha insegnato a non dire mai per intero questa parola (se proprio dobbiamo dirla) e così mi è rimasta l’abitudine.
Anche se è suonata la campanella, alcuni miei compagni di classe continuano a razzolare in cortile. È la prima settimana del secondo semestre dell’ultimo anno di superiori e si comportano come se avessero già il diploma in tasca. Uno di loro alza lo sguardo nella mia direzione, come se mi avesse sentito, ma è l’unico. Gli altri non sembrano fare caso a me, forse perché non mi hanno visto, oppure mi hanno visto e hanno pensato: Oh, è solo Finch lo Schizzato.
Poi il tizio allontana gli occhi da me, ma si mette a indicare in cielo. Lì per lì penso che stia puntando nella mia direzione, ma poi la vedo. È in piedi sul cornicione, dall’altra parte del campanile, capelli biondo scuro al vento e la gonna che si gonfia come un paracadute. È gennaio, qui nell’Indiana: indossa i collant ma è scalza, ha un paio di stivali in mano. Difficile dire se stia fissando i suoi piedi oppure l’asfalto. Sembra pietrificata.
Con un tono di voce normale, e non da predicatore, le dico, con estrema calma: «Credimi, è meglio evitare di guardare di sotto.»
Molto lentamente, gira la testa verso di me. La conosco, o per lo meno l’ho incrociata nei corridoi della scuola, e non resisto: «Ci vieni spesso, qui? Sai, è il mio posto preferito e non mi pare di averti mai vista prima».
Lei non ride e non batte ciglio, si limita a fissarmi attraverso un improbabile paio di occhiali, che le copre quasi tutta la faccia. Fa un passo indietro e sbatte il tallone contro il parapetto. La vedo vacillare e, prima che si faccia prendere dal panico, le dico: «Non so perché sei qui, ma io trovo che da quassù la città sembri più bella e anche le persone migliorino, persino i più stronzi sembrano quasi simpatici, fatta eccezione per Gabe Romero e Amanda Monk e la compagnia con cui di solito vai in giro».
Si chiama Violet Qualcosa ed è una cheerleader piuttosto popolare – una di quelle che non ti aspetteresti mai di trovare sopra un cornicione a sei piani d’altezza. È piuttosto carina, tolti quegli orrendi occhiali, e sembra una bambolina cinese: occhi grandi, viso a forma di cuore, la bocca che attende solo di piegarsi in un sorriso perfetto. Il tipo di ragazza che esce con una star del baseball come Ryan Cross e a mensa siede accanto ad Amanda Monk e alle altre reginette della scuola.
«Ma diciamocelo, non siamo venuti qui per ammirare il panorama. Violet, giusto?»

3 commenti:

  1. Questo libro sta diventando la mia ossessione!! il 31 DEVO assolutamente comprarlo!! *__* Come inizio sembra promettente.. :D

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  2. Un incipit bellissimo a dir poco *-* non vedo l'ora di leggerlo! Ho visto le foto dell'evento su facebook, che bello, beate voi che avete potuto andare :D

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Grazie per aver letto il mio post ❤
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